Espansore e Protesi

Che cos'è

La tecnica di ricostruzione con il ricorso all’espansione ed alla protesi, pur non essendo l’unica disponibile, è la tecnica a cui ricorre più spesso la maggioranza dei chirurghi plastici ed è la più conosciuta anche dal pubblico.

Ha tempi operatori più brevi delle ricostruzioni con tessuti autologhi, ma è necessariamente sempre “differita” in quanto richiede il tempo dell’espansione e poi quello della sostituzione dell’espansore con la protesi.

Il risultato è meno naturale rispetto alla ricostruzione con tessuti autologhi quali il lembo DIEP e comporta più complicanze per i frequenti fenomeni di reazione all’uso di un corpo estraneo, nonostante ciò resta un’opzione valida specie in alcuni casi oppure se la paziente rifiuta le altre tecniche.

Le prime protesi mammarie furono quelle riempite con gel di silicone inventate negli anni ’60 del secolo scorso negli Stati Uniti.

Successivamente l’ormai nota diatriba sulla sicurezza per la salute portò nel 1992 le autorità Statunitensi (FDA) ad ordinare una moratoria dell’uso protesi in gel di silicone, in attesa di studi clinici sulla loro pericolosità (successivamente è stato scientificamente accertato che non c’è legame tra le protesi in gel di silicone e l’insorgenza di recidive, di tumori di altro genere o malattie autoimmuni come era stato da alcuni ipotizzato).

Questa moratoria ebbe l’effetto di dare una forte spinta alla ricerca di nuovi materiali, perfezionando sempre più i risultati in termini di tollerabilità ma anche di risultati estetici, producendo ad esempio forme “anatomiche” oppure superfici ruvide (testurizzate) con diversi rivestimenti.

Altro fattore importante per lo sviluppo di questa tecnica è stato l’invenzione di differenti tipi di espansori, necessari per creare lo spazio per l’alloggiamento della protesi definitiva e per espandere la cute del torace.

Proprio in merito ai nuovi prodotti, recentemente nel 2011 l’FDA ha nuovamente richiamato l’attenzione sulla maggiore insorgenza di un particolare tipo di linfoma di tipo T, classificato nel 2016 dalla WHO come Breast Implant Associate Anaplastic Large Cell Lymphoma (BIA-ALCL).

Le autorità competenti, ad iniziare dall’Europa, hanno iniziato nel 2019 a vietare la vendita e commercializzazione di un particolare tipo d’impianto della Allergan perché ritenuto legato alla stragrande maggioranza dei casi rilevati.

Gli esperti, tra cui il Prof. Santanelli di Pompeo di Pompeo, sono ancora al lavoro per accertare le ragioni alla base del fenomeno, ma nel frattempo il mercato (industrie, medici e pazienti) ha prontamente reagito indirizzandosi verso le protesi rotonde a superficie liscia.

Procedura

La ricostruzione con espansore e protesi si realizza sempre in due fasi operatorie, cioè è una ricostruzione “differita”.

La prima fase avviene in sala operatoria, dopo che il chirurgo generale ha tolto la ghiandola malata e il chirurgo plastico inserisce sotto il muscolo pettorale un espansore.

Questo è una sorta di protesi vuota che è successivamente riempita con iniezioni di soluzione fisiologica in genere in ragione del 10% della sua dimensione.

Questo riempimento avviene attraverso una valvola sottocutanea e un ago sottilissimo, nel corso di più sedute ambulatoriali.

Progressivamente, l’allargamento dell’espansore crea sotto il muscolo lo spazio per inserire la protesi definitiva e nel contempo si espande lentamente la cute sul torace, che poi farà le veci della coppa del seno.

Alcuni mesi dopo, la paziente torna in sala operatoria per l’inserimento della protesi definitiva.

Il complesso areola-capezzolo viene ricostruito successivamente, dopo che la protesi si è assestata.

Risultati

Rispetto ad una ricostruzione con tessuti autologhi, le maggior parte delle volte la coppa è meno naturale, nella forma e nell’attaccatura al torace e la pelle appare molto tesa.

Questo non significa che per molte donne il risultato non sia soddisfacente e per loro risolutivo.

Una donna con un volume del seno così recuperato, vestita ha un aspetto del tutto normale e quando l’intervento è eseguito al meglio può anche portare delle scollature.

Ma il fattore più importante da valutare sono le complicanze legate all’uso della protesi, in particolare i possibili spostamenti della protesi stessa, le infezioni e le contratture capsulari.

Queste ultime sono il risultato del tentativo del sistema immunitario di isolare il corpo estraneo rappresentato dalle protesi; si tratta di una reazione tessutale, infiammatoria cronica che circonda la protesi, la indurisce e a volte la stringe compromettendo, nei casi più seri, il risultato estetico e provocando fastidi anche importanti.

Questi problemi si verificano relativamente spesso e possono comportare il ritorno in sala operatoria.

Se insorgono complicanze infettive si cerca di intervenire per risolverle, altrimenti si debbono togliere le protesi per poi reinserirle una volta completata la terapia antibiotica.

Anche la tecnica con il lembo Grand Dorsale + protesi non è esime da questi problemi, ma sono meno frequenti poiché non si ricorre ai molteplici riempimenti dell’espansore, alla sostituzione con la protesi definitiva e soprattutto perché la ricca vascolarizzazione del muscolo Gran Dorsale protegge la protesi.

In ogni caso, soprattutto prima dei progressi nella microchirurgia vascolare e nella ricostruzione con tessuti autologhi, in particolare con lembo DIEP, la tecnica con espansore e protesi ha significato moltissimo per la ricostruzione del seno per molte donne, e continua ad essere un’opzione.

Un’altra cosa da valutare è il progressivo differenziarsi nel tempo, del seno ricostruito con protesi da quello naturale, e il diverso comportamento, ad esempio, rimanendo più fisso quando si è distese.

Alcune donne preferiscono affrontare queste asimmetrie chiedendo di intervenire anche sull’altro seno.

Altre Tecniche

Espansore Definitivo

Con l’obiettivo di realizzare una ricostruzione del seno con ricorso a protesi in un solo tempo operatorio, sono stati inventati degli espansori che fungono anche da protesi definitive. Questo tipo di protesi hanno l’inconveniente di essere un poco più rigide alla vista e al tatto. Una donna è libera di considerare il rapporto costi-benefici di questa o quel tipo di protesi oggi a disposizione.

Skin Sparing + Protesi

Con il ricorso alle protesi, i risultati migliori si raggiungono quando il chirurgo plastico interviene dopo una “mastectomia skin-sparing”, cioè quando il chirurgo generale, sulla base di specifiche condizioni cliniche, ha eseguito un tipo particolare di asportazione della ghiandola mammaria, togliendo solo quest’ultima e risparmiando la cute ed il tessuto sottocutaneo a suo ridosso, da non confondere con la ghiandola.

In questo modo si preserva tutta la cute della coppa del seno che, una volta riempita dalla protesi, riprende volume e forma, e le cicatrici finiscono nel solco mammario.

Aspetto importante di questa tecnica è che può essere eseguita in un’unica fase, cioè senza ricorso all’espansore, perché la cute non ha bisogno di essere espansa e la protesi è isolata dalla cute stessa da uno strato intermedio di tessuto, grasso e derma.

È fondamentale in ciò l’abilità del chirurgo generale nel togliere tutta la ghiandola, ovvero tutto il tessuto a rischio oncologico, per le evidenti ragioni, preservando però la vascolarizzazione della cute residua.

In alcuni casi però, lo strato di tessuto a ridosso della cute è troppo sottile e bisogna valutare bene tutte le condizioni per evitare il rischio che in un secondo momento la protesi sia troppo evidente lasciando trasparire delle ondulature, o peggio, “usuri” la cute e la danneggi.

Questa tecnica è nota come Skin sparing+protesi ed anch’essa non può essere immune dalle problematiche che possono insorgere con le protesi.

Domande Frequenti Protesi

D: La protesi può provocare una recidiva del tumore al seno o altre malattie oncologiche?

R: Assolutamente non la recidiva. Tutti gli studi scientifici più importanti concordano che non si può dimostrare una relazione tra una recidiva o altre formule tumorali e l’impiego di protesi. In Europa la polemica sulle protesi al gel di silicone ha contribuito alla pubblicazione della direttiva 93/42 EEC, entrata in vigore in tutti gli stati membri dal 15/6/98, dopo un periodo transitorio (dal 95 al 98). In base a tale direttiva le protesi rientravano in una classe di rischio dei presidi medico chirurgici pari a 2. Il 4/2/03 la Commissione europea ha adottato la Direttiva 2003/12, in base alla quale le protesi mammarie sono state riclassificate in Classe 3, che prevede un iter più complesso per ottenere la certificazione di conformità. Le protesi testurizzate o rivestite in poliuretano invece sembra possano causare l’insorgenza di un nuovo tipo di linfoma anaplastico (BIA-ALCL), e per tale motivo il Prof. Santanelli di Pompeo non le utilizza più.

D: La protesi potrebbe rompersi?

R: Senza un evento traumatico è difficile che la protesi si rompa. E comunque sono casi rari anche nel caso di traumi sul seno. È però importante, quando si eseguono gli esami di controllo, come la mammografia, andare in centri specializzati, anche perché la lettura dei risultati radiologici su un seno con la protesi deve essere fatta da medici con esperienza specifica.

D: La protesi è compatibile con la chemioterapia e la radioterapia?

R: Indossare le protesi non ha conseguenze sulla chemioterapia e, in generale, viceversa. Invece si deve valutare se fare la radioterapia su un seno ricostruito con una protesi, perché ciò potrebbe sollecitare dei fenomeni di rigetto. Per questo il più delle volte si preferisce fare prima la radioterapia e poi la ricostruzione.

D: Dovrò cambiare le protesi in futuro?

R: In termini prettamente tecnici, le protesi sono fatte per durare anche vent’anni. La loro sostituzione dipende da fattori che possono intervenire, come le complicanze suddette. È abbastanza frequente che con il trascorre degli anni possano insorgere dei difetti o spostamenti della protesi. Alcune donne finiscono per adattarsi e convivere con una situazione non ottimale, in altri casi è la paziente a chiedere di cambiarla.

D: Ci ho pensato a lungo ed anche se potrei essere una buona candidata, non voglio ricorre alla ricostruzione con tessuti autologhi. Preferisco ricorrere alla protesi.

R: Noi chirurghi plastici possiamo proporre quello che la nostra esperienza ci suggerisce essere l’opzione migliore, anche nel lungo termine, ma cosa lei voglia per sé stessa e cosa si senta di voler fare è prima di tutto una sua scelta. Il nostro impegno è ora valutare la tecnica con il ricorso alle protesi più adeguata per rispondere alle sue esigenze nel modo migliore.

Che cos'è

La tecnica di ricostruzione con il ricorso all’espansione ed alla protesi, pur non essendo l’unica disponibile, è la tecnica a cui ricorre più spesso la maggioranza dei chirurghi plastici ed è la più conosciuta anche dal pubblico.

Ha tempi operatori più brevi delle ricostruzioni con tessuti autologhi, ma è necessariamente sempre “differita” in quanto richiede il tempo dell’espansione e poi quello della sostituzione dell’espansore con la protesi.

Il risultato è meno naturale rispetto alla ricostruzione con tessuti autologhi quali il lembo DIEP e comporta più complicanze per i frequenti fenomeni di reazione all’uso di un corpo estraneo, nonostante ciò resta un’opzione valida specie in alcuni casi oppure se la paziente rifiuta le altre tecniche.

Le prime protesi mammarie furono quelle riempite con gel di silicone inventate negli anni ’60 del secolo scorso negli Stati Uniti.

Successivamente l’ormai nota diatriba sulla sicurezza per la salute portò nel 1992 le autorità Statunitensi (FDA) ad ordinare una moratoria dell’uso protesi in gel di silicone, in attesa di studi clinici sulla loro pericolosità (successivamente è stato scientificamente accertato che non c’è legame tra le protesi in gel di silicone e l’insorgenza di recidive, di tumori di altro genere o malattie autoimmuni come era stato da alcuni ipotizzato).

Questa moratoria ebbe l’effetto di dare una forte spinta alla ricerca di nuovi materiali, perfezionando sempre più i risultati in termini di tollerabilità ma anche di risultati estetici, producendo ad esempio forme “anatomiche” oppure superfici ruvide (testurizzate) con diversi rivestimenti.

Altro fattore importante per lo sviluppo di questa tecnica è stato l’invenzione di differenti tipi di espansori, necessari per creare lo spazio per l’alloggiamento della protesi definitiva e per espandere la cute del torace.

Proprio in merito ai nuovi prodotti, recentemente nel 2011 l’FDA ha nuovamente richiamato l’attenzione sulla maggiore insorgenza di un particolare tipo di linfoma di tipo T, classificato nel 2016 dalla WHO come Breast Implant Associate Anaplastic Large Cell Lymphoma (BIA-ALCL).

Le autorità competenti, ad iniziare dall’Europa, hanno iniziato nel 2019 a vietare la vendita e commercializzazione di un particolare tipo d’impianto della Allergan perché ritenuto legato alla stragrande maggioranza dei casi rilevati.

Gli esperti, tra cui il Prof. Santanelli di Pompeo di Pompeo, sono ancora al lavoro per accertare le ragioni alla base del fenomeno, ma nel frattempo il mercato (industrie, medici e pazienti) ha prontamente reagito indirizzandosi verso le protesi rotonde a superficie liscia.

Procedura

La ricostruzione con espansore e protesi si realizza sempre in due fasi operatorie, cioè è una ricostruzione “differita”.

La prima fase avviene in sala operatoria, dopo che il chirurgo generale ha tolto la ghiandola malata e il chirurgo plastico inserisce sotto il muscolo pettorale un espansore.

Questo è una sorta di protesi vuota che è successivamente riempita con iniezioni di soluzione fisiologica in genere in ragione del 10% della sua dimensione.

Questo riempimento avviene attraverso una valvola sottocutanea e un ago sottilissimo, nel corso di più sedute ambulatoriali.

Progressivamente, l’allargamento dell’espansore crea sotto il muscolo lo spazio per inserire la protesi definitiva e nel contempo si espande lentamente la cute sul torace, che poi farà le veci della coppa del seno.

Alcuni mesi dopo, la paziente torna in sala operatoria per l’inserimento della protesi definitiva.

Il complesso areola-capezzolo viene ricostruito successivamente, dopo che la protesi si è assestata.

Risultati

Rispetto ad una ricostruzione con tessuti autologhi, le maggior parte delle volte la coppa è meno naturale, nella forma e nell’attaccatura al torace e la pelle appare molto tesa.

Questo non significa che per molte donne il risultato non sia soddisfacente e per loro risolutivo.

Una donna con un volume del seno così recuperato, vestita ha un aspetto del tutto normale e quando l’intervento è eseguito al meglio può anche portare delle scollature.

Ma il fattore più importante da valutare sono le complicanze legate all’uso della protesi, in particolare i possibili spostamenti della protesi stessa, le infezioni e le contratture capsulari.

Queste ultime sono il risultato del tentativo del sistema immunitario di isolare il corpo estraneo rappresentato dalle protesi; si tratta di una reazione tessutale, infiammatoria cronica che circonda la protesi, la indurisce e a volte la stringe compromettendo, nei casi più seri, il risultato estetico e provocando fastidi anche importanti.

Questi problemi si verificano relativamente spesso e possono comportare il ritorno in sala operatoria.

Se insorgono complicanze infettive si cerca di intervenire per risolverle, altrimenti si debbono togliere le protesi per poi reinserirle una volta completata la terapia antibiotica.

Anche la tecnica con il lembo Grand Dorsale + protesi non è esime da questi problemi, ma sono meno frequenti poiché non si ricorre ai molteplici riempimenti dell’espansore, alla sostituzione con la protesi definitiva e soprattutto perché la ricca vascolarizzazione del muscolo Gran Dorsale protegge la protesi.

In ogni caso, soprattutto prima dei progressi nella microchirurgia vascolare e nella ricostruzione con tessuti autologhi, in particolare con lembo DIEP, la tecnica con espansore e protesi ha significato moltissimo per la ricostruzione del seno per molte donne, e continua ad essere un’opzione.

Un’altra cosa da valutare è il progressivo differenziarsi nel tempo, del seno ricostruito con protesi da quello naturale, e il diverso comportamento, ad esempio, rimanendo più fisso quando si è distese.

Alcune donne preferiscono affrontare queste asimmetrie chiedendo di intervenire anche sull’altro seno.

Altre Tecniche

Espansore Definitivo

Con l’obiettivo di realizzare una ricostruzione del seno con ricorso a protesi in un solo tempo operatorio, sono stati inventati degli espansori che fungono anche da protesi definitive. Questo tipo di protesi hanno l’inconveniente di essere un poco più rigide alla vista e al tatto. Una donna è libera di considerare il rapporto costi-benefici di questa o quel tipo di protesi oggi a disposizione.

Skin Sparing + Protesi

Con il ricorso alle protesi, i risultati migliori si raggiungono quando il chirurgo plastico interviene dopo una “mastectomia skin-sparing”, cioè quando il chirurgo generale, sulla base di specifiche condizioni cliniche, ha eseguito un tipo particolare di asportazione della ghiandola mammaria, togliendo solo quest’ultima e risparmiando la cute ed il tessuto sottocutaneo a suo ridosso, da non confondere con la ghiandola.

In questo modo si preserva tutta la cute della coppa del seno che, una volta riempita dalla protesi, riprende volume e forma, e le cicatrici finiscono nel solco mammario.

Aspetto importante di questa tecnica è che può essere eseguita in un’unica fase, cioè senza ricorso all’espansore, perché la cute non ha bisogno di essere espansa e la protesi è isolata dalla cute stessa da uno strato intermedio di tessuto, grasso e derma.

È fondamentale in ciò l’abilità del chirurgo generale nel togliere tutta la ghiandola, ovvero tutto il tessuto a rischio oncologico, per le evidenti ragioni, preservando però la vascolarizzazione della cute residua.

In alcuni casi però, lo strato di tessuto a ridosso della cute è troppo sottile e bisogna valutare bene tutte le condizioni per evitare il rischio che in un secondo momento la protesi sia troppo evidente lasciando trasparire delle ondulature, o peggio, “usuri” la cute e la danneggi.

Questa tecnica è nota come Skin sparing+protesi ed anch’essa non può essere immune dalle problematiche che possono insorgere con le protesi.

Domande Frequenti Protesi

D: La protesi può provocare una recidiva del tumore al seno o altre malattie oncologiche?

R: Assolutamente non la recidiva. Tutti gli studi scientifici più importanti concordano che non si può dimostrare una relazione tra una recidiva o altre formule tumorali e l’impiego di protesi. In Europa la polemica sulle protesi al gel di silicone ha contribuito alla pubblicazione della direttiva 93/42 EEC, entrata in vigore in tutti gli stati membri dal 15/6/98, dopo un periodo transitorio (dal 95 al 98). In base a tale direttiva le protesi rientravano in una classe di rischio dei presidi medico chirurgici pari a 2. Il 4/2/03 la Commissione europea ha adottato la Direttiva 2003/12, in base alla quale le protesi mammarie sono state riclassificate in Classe 3, che prevede un iter più complesso per ottenere la certificazione di conformità. Le protesi testurizzate o rivestite in poliuretano invece sembra possano causare l’insorgenza di un nuovo tipo di linfoma anaplastico (BIA-ALCL), e per tale motivo il Prof. Santanelli di Pompeo non le utilizza più.

D: La protesi potrebbe rompersi?

R: Senza un evento traumatico è difficile che la protesi si rompa. E comunque sono casi rari anche nel caso di traumi sul seno. È però importante, quando si eseguono gli esami di controllo, come la mammografia, andare in centri specializzati, anche perché la lettura dei risultati radiologici su un seno con la protesi deve essere fatta da medici con esperienza specifica.

D: La protesi è compatibile con la chemioterapia e la radioterapia?

R: Indossare le protesi non ha conseguenze sulla chemioterapia e, in generale, viceversa. Invece si deve valutare se fare la radioterapia su un seno ricostruito con una protesi, perché ciò potrebbe sollecitare dei fenomeni di rigetto. Per questo il più delle volte si preferisce fare prima la radioterapia e poi la ricostruzione.

D: Dovrò cambiare le protesi in futuro?

R: In termini prettamente tecnici, le protesi sono fatte per durare anche vent’anni. La loro sostituzione dipende da fattori che possono intervenire, come le complicanze suddette. È abbastanza frequente che con il trascorre degli anni possano insorgere dei difetti o spostamenti della protesi. Alcune donne finiscono per adattarsi e convivere con una situazione non ottimale, in altri casi è la paziente a chiedere di cambiarla.

D: Ci ho pensato a lungo ed anche se potrei essere una buona candidata, non voglio ricorre alla ricostruzione con tessuti autologhi. Preferisco ricorrere alla protesi.

R: Noi chirurghi plastici possiamo proporre quello che la nostra esperienza ci suggerisce essere l’opzione migliore, anche nel lungo termine, ma cosa lei voglia per sé stessa e cosa si senta di voler fare è prima di tutto una sua scelta. Il nostro impegno è ora valutare la tecnica con il ricorso alle protesi più adeguata per rispondere alle sue esigenze nel modo migliore.